Non più una scelta ma una necessità
Il 2020 non è iniziato nel migliore dei modi per il mondo intero. Un nuovo virus, che ha fatto il fatidico salto dal mondo animale all’uomo, e da lì alla trasmissibilità uomo-uomo, mette in allarme l’intero pianeta. Si chiama Coronavirus, scientificamente SARS Cov-2.
Nonostante il virus sia originato in Cina, la capillare diffusione dei viaggi ha portato in breve tempo a focolai in gran parte del mondo, compresa l’Italia. Non parleremo del problema sanitario qui, ma dell’effetto collaterale, dovuto all’impatto economico anche esso globale, che ha portato al più grande esperimento di telelavoro mai avviato.
I Paesi colpiti, a iniziare dalla Cina, subiscono forti limitazioni agli spostamenti, e anche l’Italia del nord, al momento in cui scrivo, è compresa. Le fabbriche, le strade, i luoghi di aggregazione e gli uffici chiusi, pongono le basi per questo esperimento su larga scala.
Lo smart working gode ormai di comprovata efficacia, ma nessuno aveva mai immaginato che questa condizione lavorativa, ancora abbastanza nuova, sia dovuta esplodere non per scelta, ma per obbligo, dovuta all’impossibilità materiale di recarsi al lavoro.
Ecco che in fretta e furia le aziende si sono dovute organizzare per remotizzare il lavoro degli impiegati, ovviamente questo non è possibile per la forza lavoro utilizzata direttamente nella produzione manifatturiera, e quelle già organizzate sono riuscite a partire prima e in modo più efficace.
Non si pensi che basti una connessione a internet e un computer per poter trasportare l’ufficio a casa. Infatti come noi ben sappiamo, proponendo ai nostri clienti sistemi di Unified Communications, solo con un sistema integrato si può veramente lavorare da qualsiasi luogo pur mantenendo le stesse prerogative dell’ufficio. Il punto di partenza è il numero di telefono fisso aziendale che può funzionare anche dal pc o dallo smartphone indipendentemente da dove ci si trovi.
Uso intensivo della videocomunicazione per le riunioni e chat aziendale, completamente svincolata da quelle personali come WhatsApp e Telegram, sono il giusto corollario al buon lavoro da remoto. Il tutto coordinato da un centralino telefonico VoIP.
Come è la situazione in Italia rispetto al telelavoro?
Nel 2019 erano 570mila i “lavoratori agili” in Italia, in crescita del 20% rispetto al 2018, secondo il rapporto dell’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano.
Il sociologo Domenico de Masi, professore emerito di Sociologia del lavoro presso l’Università “La Sapienza” di Roma, e fondatore della SIT, Società Italiana Telelavoro dice: “In Italia c’è una resistenza patologica” e che “noi italiani non concepiamo di non andare in ufficio. E i capi vogliono controllarci continuamente. Ma è il modo migliore di lavorare”.
In un Paese che non cresce anche a causa della resistenza al cambiamento, soprattutto in ambito tecnologico, non c’è da meravigliarsi che le affermazioni del sociologo possano corrispondere alla realtà.
Un vantaggio competitivo
Questo aspetto però è da considerarsi come un modo per ottenere un vantaggio competitivo. Le aziende che prima portano innovazione, e non solo con lo smart working, saranno quelle in grado di affrontare meglio le sfide del futuro.
La brutta esperienza del coronavirus obbliga a un cambiamento di paradigma. È possibile un modo di lavorare più agile, più efficiente, più economico in termine di tempo e di costi, nonché vantaggioso per l’ambiente e, una volta utilizzato, sarà difficile pensare che sia meglio tornare indietro.
Per saperne di più sullo smart working leggi questo articolo. Se invece vuoi approfondire le Unified Communications e come possono essere vantaggiose per la tua azienda, al di là di usarle per il lavoro agile o meno, compila il form sotto riportato per parlare con un esperto.
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